Nato per non far rumore, non fece, al suo esordio, nemmeno sentire il clamore che poi avrebbe avuto negli anni a seguire. Parliamo della “ruota aerea”, un’invenzione che cambierà il modo di muoversi (come in qualche modo l’ha cambiato l’evoluzione dei fanali).
La storia degli pneumatici inizia nella metà dell’800, quando William Thomson brevetta a Londra il supporto di gomma riempito di aria da applicare alle ruote con l’intento di renderne più agevole il rotolamento.
Non c’era molto da agevolare perché l’auto doveva nascere e insieme ad essa anche la bicicletta. Lo sforzo animale al traino di carri e diligenze d’altro canto non era così contemplato nella sensibilità umana. Thomson morirà nel 1873, possessore fin allora dell’unica carrozza circolante dotata di pneumatici alle ruote.
Ignaro del brevetto già depositato, lo scozzese Dunlop lavorò alla stessa invenzione seppur arrivò secondo a brevettare la ruota pneumatica in gomma. Fu sottolineata la sua correttezza e dignità nel riconoscere la “sconfitta”.
In principio la gomma utilizzata era lattice estratto dal tronco del “Hevea Brasilianes”, un albero che si trova in Brasile.
Una volta scaldato, poteva essere lavorato facendogli assumere qualsiasi forma (anche circolare) che avrebbe poi mantenuto a seguito del raffreddamento. Il problema era che il caldo estivo ne provocava di nuovo lo scioglimento mentre il freddo invernale lo cristallizzava sgretolandolo.
L’intervento dell’esperimento di Charles Goodyear del 1839, attraverso il mescolamento del lattice con zolfo (oggi noto come “Processo di Vulcanizzazione”), rese il materiale gommoso resistente alle variazioni di temperatura gettando al contempo le basi per l’ideazione del mezzo più popolare: l’auto. (Un’evoluzione simile a quella della plastica).
Prima del 1850 non si parlava ancora di pneumatico bensì di settore circolare di gomma applicata alla ruota (quindi una gomma “piena”). William Thomson capì ben presto però che il mezzo migliore per esaltare le qualità di leggerezza, comfort e diminuzione di attrito durante il viaggio era l’aria introdotta a pressione dentro la corona di gomma cava, lo pneumatico appunto.
Alla fine dell’800, quando gli pneumatici venivano applicati alle ruote delle auto, grandi grattacapo destarono le problematiche connesse con l’usura degli stessi intorno alla ruota e con la loro stabilità attorno ad essa: bastava una leggera curva e la gomma riempita d’aria usciva dal cerchione.
Che fu, proprio per arginare questo problema, realizzato con bordi rialzati in modo da “intrappolare” la gomma.
Ma non bastava ancora perché a velocità più sostenute gli pneumatici uscivano comunque dalla sede del cerchione. Vennero dunque applicate due corone di metallo intorno alle sezioni laterali inferiori degli pneumatici (per tenerli ancorati al cerchione) che tuttavia, con il loro sfregamento li distruggevano precocemente.
In seguito si arrivò a comprendere che l’unico modo per rendere la gomma salda al cerchione dell’auto era quello di costruire pneumatici dalle pareti spesse e rigide, così come un battistrada realizzato con fili metallici circolari (annegati nella gomma), abbandonando quindi l’idea del cuoio (materiale col quale era realizzato fino allora, talvolta completo di chiodi per esaltarne la resistenza e la tenuta).
I brevetti per la della struttura e del disegno del battistrada rimbalzavano tra Inghilterra, Francia e America. In Europa se ne ideò uno liscio dove era inciso il nome dell’azienda produttrice. Nome che sarebbe rimasto scolpito nelle polverose strade bianche dell’epoca dopo il passaggio, con l’auspicato ritorno pubblicitario.
Nel frattempo le bianche gomme americane divennero nere grazie all’adozione del Nerofumo, un materiale scuro che rendeva lo pneumatico ancora più resistente.
Il settore bianco ritornò nelle auto degli anni ’50 (epoca che ha condizionato anche il design delle automobili) a scopo unicamente decorativo, e queste gomme bianche andavano a rievocare un’epoca vicina negli anni ma lontana nello sviluppo scientifico.
L’industria italiana comparve nel settore intorno al 1870 con Pirelli (oggi quinto costruttore mondiale in termini di fatturato). Nel 1907 fece il suo ingresso nelle competizioni sportive, spostando la sua produzione in zona Bicocca a Milano.
Pietra miliare fu il “Cinturato Pirelli”, tecnologicamente avanzato nella sua realizzazione a carcassa radiale con fili di tessuto rinforzati.
A distanza di un secolo lo pneumatico è diventato completamente sintetico, realizzato con fibre di kevlar, leggerissime e molto resistenti alla trazione.
Insieme allo pneumatico venne ideata la camera d’aria, posta al suo interno, che aveva il compito di contenere l’aria introdotta a pressione in modo da non avere dispersioni. Questa vivrà insieme allo pneumatico per 80 anni, quando la tecnologia permetterà la costruzione di un cerchione contenitivo e con questo lo pneumatico “tubolare” (capace quindi di trattenere l’aria al suo interno con una perfetta tenuta al cerchione). La ricerca prosegue, lo sviluppo anche. Ma il bisogno rimane lo stesso: quello che William Thomson chiamava il “supporto elastico intorno alle ruote”.