Milano AutoClassica 2017, l’oasi nella tempesta
Non si può certo dire che la fine di novembre di quest’anno sia stata caratterizzata da sole, caldo e piacevoli brezze. Almeno, non fra chi aveva programmato di andare a dare un’occhiata a Milano Autoclassica, una delle più rinomate manifestazioni del suo genere in Italia (e non solo), oramai assurta al rango di grande evento, e non solo in virtù del numero di presenze (stimate quest’anno in circa 65.000). La qualità e soprattutto la varietà delle macchine esposte era davvero stellare, e con un numero di qualcosa come 2200 veicoli esposti o in vendita, anche la quantità era invidiabile. Chi poi avesse desiderato dare un’occhiata all’area ricambi e automobilia, avrebbe trovato molto per cui essere soddisfatto (e infatti, a sentire alcuni ben noti specialisti del settore, gli affari sono andati bene).
All’entrata, una superlativa Ferrari 250 GTO; esposta in un’isola assieme ad altri due gioielli del Cavallino, catturava come non mai l’attenzione di appassionati e curiosi, con la sua storia e la sua particolarissima livrea, un inaspettato azzurro metallizzato. Particolarità di questo esemplare, la storia: nato con lo status di muletto per testare le soluzioni proprie della GTO, è poi passato al North American Racing Team, e con Phil Hill e Olivier Gendebien conquistò il secondo posto assoluto – e primo di classe – alla 12 Ore di Sebring. Un palmares mica male.
Insieme a questo diamante di altissima caratura, una sportivissima 512 M le faceva ottima compagnia, e pur se meno fortunata in pista della GTO, anch’essa attirava lo sguardo di appassionati e tifosi.
Come se da sole queste poderose rappresentanti di Maranello non bastassero a polarizzare gli sguardi, vi era pure una monoposto che, nata come Dino166 F2 nel ‘68, fu trasformata l’anno dopo in Dino 246 per correre la Coppa.
Di nicchia la presenza di auto americane, di sportive tedesche (eccezion fatta per un nutrito parterre di Porsche, molte davvero encomiabili per qualità e bellezza), e di pezzi. Fra queste ultime però vi erano vere e proprie auto da sogno, e ne fa fede una mastodontica Isotta Fraschini Tipo 8B, vero e proprio monumento di ricchissimo lignaggio e favolosa resa estetica.
Impossibile per i visitatori non notare l’ampio spazio riservato alla Ferrari, che aveva scelto proprio Milano Autoclassica come unica occasione fra i vari saloni indoor per auto d’epoca dove festeggiare il proprio settantesimo compleanno, con un selezionatissimo parterre di vetture.
Ecco quindi una 166, una 250 GT convertibile con un hardtop in metallo spazzolato, una 250 GT Interim (il modello realizzato come trait d’union evolutivo fra la 250 TdF e la 250 GT SWBì. E, insieme ad esse, una riproduzione del clima che si respira nel reparto di restauro della Ferrari, con un’altra 250, una Berlinetta Competizione “Tour De France” del ‘56 (completa… ), una SWB prima edizione (quasi completa …), ed una Dino (con ancora del lavoro da sbrigare …).
In un’area più nascosta in mezzo alla “zona Ferrari” c’era un’altra auto del Cavallino destinata al solo pilota: una genuina Formula 1 questa volta, una di quelle che ebbero l’onore di essere condotte da Gilles Villeneuve, e che grazie al Museo Ferrari che l’ha gentilmente portata in esposizione, era quasi possibile toccare con mano!
Anche il Tridente si è fatto valere a Milano AutoClassica. Ecco allora la più bella Maserati di sempre, la A6GCS carrozzata da Pinin Farina, la quale suscita sempre emozioni contrastanti fra l’ammirazione per poterla almeno vedere dal vivo e la rabbia per non poterla possedere o almeno guidare. Sotto questo profilo, se la giocava ad armi pari con la GTO. Insieme a lei, una Bora e una 3500 GT, degne accompagnatrici di una superba reginetta di bellezza.
Se vogliamo continuare a parlare di SUV e di storia, ecco che un paio di interessantissime Fiat esposte nello stand ufficiale della Casa torinese ci offrono ulteriore motivo di approfondimento culturale e arricchimento delle nostre conoscenze sulla robustezza e sull’affidabilità, spesso messa in discussione, dei prodotti con marchio Fiat.
Robustezza e affidabilità certo non mancavano alla Campagnola che nel ’52 fece tutto d’un fiato un percorso attraverso il Continente Nero che ancora oggi sarebbe assai impegnativo, nonostante GPS, computer, elettronica, e significativi miglioramenti in termini di strade: Algeri – Città Del Capo, andata e ritorno, in 11 giorni, 4 ore e 54 minuti, un tempo ancor oggi imbattuto! Dotata di una interessante carrozzeria station wagon metallica allestita per rendere più confortevole il “cammino” all’equipaggio, il fuoristrada torinese seppe comportarsi benissimo in mezzo ad un ambiente davvero ostile.
Anche la Fiat 131 che nel ’77 partecipò alla maratona su strada Londra – Sidney fu costretta ad affrontare una prova di tutto rispetto, sia per lunghezza che per durata (pur se coadiuvata dall’assistenza ufficiale del marchio torinese, che all’epoca aveva fatto dei rally il proprio terreno privilegiato di conquista sportiva). Sempre a proposito di Fiat, la Fondazione Fiera Di Milano, in pratica la padrona di casa dell’evento, proponeva, come ormai d’abitudine, una sontuosa Fiat 2800 in versione convertibile da parata.
Tra le Fiat, una 501 metteva a dura prova la conoscenza del motorismo d’epoca di molti esperti, tanto originale ed intrigante è ancora oggi il suo design.
A Milano AutoClassica si è colta l’occasione per festeggiare il sessantesimo compleanno della Nuova 500. Tra i vari esemplari, alcune versioni da spiaggia una sempre rara My Car realizzata dalla Francis Lombardi e una versione per il mercato americano, con i celebri fanaloni sporgenti che le davano un’aria, se possibile, ancora più estroversa e smaliziata.
Per la gioia degli alfisti c’erano un paio di 6C 2500, una un’impeccabile SS convertibile carrozzata da Pinin Farina e l’altra una berlinetta costruita in soli tre esemplari nel periodo fra il 1946 e il 1950.
Questa, a differenza di molte altre consorelle, adottava una carrozzeria berlinetta interamente concepita in casa, di aspetto essenziale ed estremamente aggressivo, con qualche reminescenza di vetture dell’epoca, ma comunque dotata di un indubbio carisma personale e di una certa dose di bellezza selvaggia. Questa macchina ebbe modo di mettersi in luce nelle competizioni dell’epoca, conquistando due terzi posti consecutivi alle Mille Miglia del ’49 e ’50, e un assoluto nella Targa Florio del ’50. Rispetto alle altre 6C 2500 SS, il telaio e la meccanica della Competizione furono sottoposti ad ulteriori affinamenti (incluso un incremento della potenza alla bella cifra di 145 cavalli), e l’aspetto generale della macchina poteva farla passare, ad uno sguardo inesperto, per una creazione di Touring, magari su telaio Ferrari.
Diverse le realizzazioni dei nostri maestri battilastra del tempo che fu (o, se preferite, di alcuni fra i nostri designer di maggior spicco) che contribuivano non poco a rendere perfino difficile capire da che parte cominciare una visita a certe sezioni di Milano Autoclassica: macchine come la formidabile interpretazione di Pininfarina della Fiat 1100 S, la berlinetta ES, oppure, auto come quel capolavoro su base Fiat 600 che è la Rendez Vous di Vignale disegnata da Michelotti e che , lungi dall’esserne una caricatura, omaggia con una compostezza d’insieme e uno studio attento dei dettagli il classico stile delle GT all’italiana di metà anni Cinquanta. Quello per intenderci che venne portato alla ribalta dalla Aurelia B20 GT.
Ce n’erano pochine di auto americane a Milano AutoClassica, ma di alto (e imponente) livello.
Diverse anche le auto più “popolari”, che non sono sparite dalla nostra memoria, fortunatamente, e nemmeno da quella di veri appassionati che le hanno conservate o restaurate, persone sensibili al fascino di auto ben più prestigiose e costose ma che, a differenza di molti altri, capiscono anche il valore di macchine molto più umili.
Persone che sono pertanto capaci di provare emozione di fronte a Giuliette degli anni Settanta e Ottanta di fronte a una semplice Fiat 125 o ad una 131, o che considerano davvero pregevole anche un furgone come un Ford Transit di inizio anni Sessanta che altri, accecati dal loro snobismo, non degnerebbero di un minimo di attenzione.
I veri appassionati sono persone dotate di una vera sensibilità, una sensibilità che fa loro considerare una BMW 700 come un perfetto complemento a ben piu’ prestigiose e famose auto bavaresi, o che trovano una Fiat 1100/103 wagon affascinante come certe creazioni di Maranello.
E che dire di una magnifica 600 trasformata 750 da Moretti, un gioiellino ancor più raro di molte delle purosangue col Cavallino viste anche durante questa stessa manifestazione? Quella si che era macchina da appassionati col palato fine dopo tutto, la meccanica vanta un’elaborazione eseguita da Almo Bosato, nome caro a molti appassionati delle auto elaborate o preparate.
Milano Autoclassica ha lasciato il segno: c’era davvero tanto per tutti, si può dire, un posto dove era possibile trovare Mercedes d’epoca di tipo non assieme a macchine totalmente fuori del comune (come una splendida Matra un posto dove non faceva scandalo vedere esposta un classico delle ambulanze italiane come la Fiat 238, o dove non ci si stupiva di notare fra le auto in vendita un carro funebre su base Fiat 130. Infine, non poteva mancare un Volkswagen Typ2, anche se un po’ insolito nella sua veste di trasporto auto.
Dopo questa rinfrancante carrellata fra auto di tutti i tipi (e non solo auto) è bello sapere che nello stesso posto dove c’era l’auto più costosa di sempre c’era (meritato) spazio anche per macchine ben più abbordabili. Dopo tutto, i veri sogni non hanno prezzo.
Matteo Giacon