di Adriano Dondi
Ci sono passioni che non si possono spiegare facilmente. E quella per le automobili è una di queste. Qualcosa che è nato da quando ero bambino, e mio padre all’epoca aveva una fiammante Lancia Beta HPE. Ma non una comune 1600, come tante se ne vedevano. Era una potente 2000, con tanto di cerchi in lega, servosterzo e una autoradio che non ha mai funzionato bene, perché non c’era l’antenna (ma in fondo basta il rumore del motore).
Osservavo tutto di quella macchina. Come papà muoveva i piedi, come muoveva il cambio, come si muovevano le lancette del contagiri e del contachilometri, come girava il volante. Alcune manovre erano inconfondibili, avrei potuto semplicemente ascoltare il rumore del motore per capire in qualche tratto di strada eravamo.
Credo che sia stato durante quel periodo che tutto dentro la mia mente di bambino abbia iniziato a prendere vita. Capivo che l’automobile in qualche modo reagiva a quello che papà faceva (ricordate cosa avevamo raccontato sull’Alfetta?). Ci accompagnava, borbottava, si ribellava se qualcosa non andava per il verso giusto. Non era possibile che fosse solo un insieme di lamiere, viti, bulloni e plastica… Doveva esserci qualcosa di più, doveva esserci un’anima dentro!
Un giorno, tornando a casa, siamo passati come sempre davanti ad un piazzale deserto, e papà mi ha detto: «Vuoi provare a guidare la macchina?».
Mi ha preso sulle sue ginocchia, seduto al posto guida e mi ha messo le mani sul volante. Era l’unico modo possibile, mi ci sarebbero voluti i trampoli per arrivare anche ai pedali…. «Pronto?!?!».
Papà ha ingranato la prima, ha lasciato dolcemente la frizione e accelerato piano piano… Mio dio, sto guidando!!!! Era come se stessi conoscendo una persona per la prima volta.
Sono passati più di 30 anni da allora ma mi ricordo le emozioni che ho provato come se fosse successo ieri.
Il tempo passava, le sere passate nel parcheggio a guidare sono diventate una specie di abitudine, e allo stesso tempo, un piccolo segreto tra me, mio papà e la HPE: non credo che mamma l’avesse mai saputo cosa combinavamo le sere che facevamo più tardi del solito!
E il legame con quella strana cosa che sicuramente in qualche modo è animata, si rafforzava sempre più. Anche perchè in casa, quando se ne parlava, lei non era la macchina, ma “la HPE”.
Poi è arrivato il momento di lasciarla andare… aveva già 10 anni, era diventata vecchietta. La marmitta si rompeva sempre a causa della condensa che rimaneva dentro allo scarico, molte volte si ingolfava, e lo spinterogeno non sempre faceva il suo dovere.
Dopo averla venduta, il ricordo della HPE però è rimasto sempre nella mia testa. Perché le macchine moderne sono belle, comode, silenziose, confortevoli e piene di utilissimi accessori. Ma è difficile sentire la loro anima.
Anno dopo anno è calato sempre di più l’interesse per l’ultimo modello presentato al Salone di Ginevra da BMW, e cresciuto quello per le auto degli anni 70 e 80, quelle con cui sono nato e cresciuto, quelle che se fai qualcosa di sbagliato te lo fanno capire, e che quando le guidi, le “senti” veramente.
E parallelamente è nata l’idea di comprare la Lancia Beta HPE!
Per fortuna è un’automobile che non vale granché. La ricerca però fa emergere che è difficile trovare qualcosa di decente, e che i venditori non proprio onesti e sinceri sono la maggioranza sul mercato. Altra brutta scoperta: la 2000 praticamente introvabile. All’epoca era una cilindrata troppo grossa e quasi nessuno la sceglieva.
Servirà qualche compromesso, ma dopo un anno spunta una Lancia Beta HPE azzurra. È una 1600, ma va bene. Non ha i cerchi in lega come quella dei miei ricordi, ma va bene. Non ha il colore della mia, ma va bene.
La macchina è sana, ha solo qualche leggera traccia di ruggine sul tetto, coperta comunque dalla vernice. Ma per me è bellissima così. Però quando la guardo c’è qualcosa che non va: quei cerchi in lamiera non mi vanno giù, ostacolano i miei ricordi. Poco male, nel giro di un paio di mesi trovo un set di 5 cerchi in lega originali dell’epoca, restaurati e riverniciati. Colgo l’occasione anche per buttare via quelle pericolosissime gomme con la camera d’aria, e montare quattro tubeless nuove.
Adesso è perfetta, è lei! È la compagna che mi ha accompagnato per i miei primi 10 anni di vita.
Bentornata HPE!
Bella storia, tipica di un indimenticato legame d'infanzia con l'auto di famiglia.
Più volte ho considerato l'HPE come un'anticipazione del concetto di coupé-station wagon che si è poi affermato in tempi recenti ad opera di diverse Case.
Della sportive Beta ritengo straordinaria la strumentazione, mai riscontrata così completa su nessun'altra automobile: al di là dei classici strumenti c'erano voltmetro, manometro olio, termometro olio e indicatore di livello olio. Davvero un tripudio di lancette!