Quando le auto europee si truccavano per gli USA
Guardando un film o una serie televisiva di Hollywood, capita spesso di intravedere delle normali auto europee o nipponiche come ne girano nel Vecchio continente. A qualcuno sarà sicuramente saltato all’occhio qualche dettaglio che rendeva tali vetture non perfettamente uguali a come siamo abituati a vederle, ad esempio una BMW Serie 3 usata dal protagonista di qualche action movie, che non è del tutto uguale a quella che teniamo noi in garage o che l’Alfa Spider che vediamo sfrecciare sulla Route 66 non corrisponda del tutto a quella posseduta da nostro zio anni fa.
Nella gran parte dei casi, non si tratta di raffazzonature o tuning venuti male fatte dalle produzioni di questi film, ma di auto che sono così fin da quando sono uscite dalle rispettive fabbriche. Semplicemente i vari modelli italiani, tedeschi, giapponesi, ecc. che venivano esportati presentavano un allestimento specifico, con motori lievemente meno potenti e a volte anche nomi differenti, per soddisfare le severissime norme di omologazione americane.
Grazie a questi dettagli è anche possibile capire se un film sia stato effettivamente girato sulla Costiera Amalfitana o invece nei dintorni di Los Angeles illudendo l’ignaro spettatore.
Oggi le case solitamente progettano un modello nuovo tenendo già conto delle norme vigenti in tutti o quasi tutti i paesi del mondo, quindi la stessa auto rimane uguale sia che venga venduta in Europa o in America, ma nei decenni scorsi, soprattutto tra fine anni sessanta e inizio anni ottanta, lo stesso modello veniva adeguato per l’export verso altri lidi solo in un secondo momento.
Il particolare che salta subito all’occhio dell’allestimento per gli Usa e il Canada sono i grossi paraurti in materiale plastico, fatti apposta per assorbire per bene gli urti con altre auto, a volte di proporzioni tali da stravolgere l’estetica della vettura. Roba che a volte era anche quasi possibile sedersi sopra.
La Mg B ad esempio ha perso la griglia anteriore cromata in favore di un labbrone carenato nero che stona con la linea originaria. La Pagoda della seconda generazione invece ne ha guadagnato in classe grazie ai fari circolari e alle gomme “vintage” con la banda bianca. La Ritmo sembra quasi un’altra auto, non solo per i paraurti ma anche nel nome, Strada (da non confondersi con l’omonimo pick up derivato dalla Palio attualmente prodotto in Brasile), questo perché nella lingua inglese il sostantivo originario viene usato per intendere il ciclo mestruale.
Considerando la stazza di tante auto americane di quarant’anni fa è facile comprendere la necessità di tali grossi componenti, pensiamo ad esempio, in seguito ad una frenata brusca, che colpo avrebbe potuto dare una Lincoln Mark V contro una 128.
A partire dalla metà degli anni ottanta le varie case hanno cominciato ad unificare gli allestimenti su tutti i mercati ed oggi l’unico modo per capire se una 500 o una Mini sia stata fatta per un cliente d’oltreoceano è vedere se ha le luci di posizioni di fianco alle ruote o le frecce di direzione di colore rosso.
Ormai lo stesso modello ha lo stesso aspetto in tutti e cinque i continenti in cui è venduto e ciò è dovuto al fatto che anche le utilitarie devono rispettare rigidi standard di sicurezza rendendo quindi superfluo applicarci sopra dei cinturoni sporgenti come in passato.
Negli ultimi anni alcune europee d’annata, spesso bisognose di restauro, hanno cominciato a sbarcare qua in Europa ed in alcuni casi hanno catturato l’attenzione dei collezionisti per via della loro “diversità” rispetto ad altri esemplari.
Testimonianze di quando il mondo era meno globalizzato di oggi e di come il mercato nordamericano ci sembrasse un altro pianeta.
Augusto Pellucchi