Quando si mettono in moto le prime auto, si accendono le prime luci su un mondo che inizia a muoversi su quattro ruote. E si accendono anche le prime luci sulle auto per illuminare il lungo percorso che oggi stanno attraversando (leggi la storia della plastica nelle auto d’epoca).
Se però adesso lo fanno con fari allo xeno, all’inizio del cammino lo facevano con fari a carburo. Che emettevano una luce bianchissima ed energica seppur meno parsimoniosa e soprattutto molto più pericolosa.
La storia dei proiettori delle auto inizia proprio con una reazione chimica: quella del carburo di calcio (solido inodore) su cui veniva fatta gocciolare dell’acqua con la conseguente produzione di acetilene. Una scintilla ed ecco che l’acetilene (idrocarburo estremamente infiammabile) si incendiava producendo una fiamma azzurra che emanava una luce bianchissima.
Tutto questo succedeva dentro la parabola del faro dove oggi alloggiano le lampade ad incandescenza (filamento di tungsteno) o a scarica elettrica (gas xeno).
Il reale problema nei primi del ‘900 non era tanto la pericolosità del materiale infiammabile, quanto il fascio di luce intenso che abbagliava chi arrivava dal lato opposto. Si pensò di mascherare la metà superiore del proiettore anche se l’unico effetto sortito era quello di diminuire l’intensità del fascio luminoso che comunque puntava ancora dritto sugli occhi di chi veniva di fronte.
Non ci fu tempo per trovare una soluzione che subito arrivarono i proiettori con lampade ad incandescenza. I fari delle auto, ancora esterni al corpo vettura, diventarono pertanto elettrici ed il loro vetro fu sagomato per creare un fascio di luce coerente dalla geometria nota. La sagomatura permise anche di regolarne l’altezza e la profondità. Comparvero quindi i commutatori abbagliante/anabbagliante attraverso anche l’utilizzo di lampade a doppio filamento.
Siamo negli anni ’30: l’uso dei fari abbaglianti era consentito quando si avevano almeno 100 metri liberi da pedoni o altri veicoli. Come per l’avantreno così per il retrotreno fece la sua comparsa la luce di stop, unica ed arancione. E gli indicatori di direzione erano costituiti da bacchette illuminate da luce arancione poste nella parte laterale del veicolo che si azionavano attraverso un comando a mano, uscendo dalla carrozzeria in posizione orizzontale. La luce della targa doveva permetterne la lettura, di notte, da una distanza di almeno 30 metri.
Anni ‘50: i fari iniziarono a far parte del corpo vettura e le parabole scomparvero all’interno della carrozzeria. Siamo ai tempi della Fiat Topolino C quindi della Fiat 600. Alfa Romeo fu la prima marca a montare doppie parabole sull’avantreno per i due tipi di fasci, abbagliante e anabbagliante. Quindici anni più tardi comparvero i fari allo iodio e la luce delle auto tornò ad avere una colorazione più bianca, anche se il bianco dei primi fari a carburo non venne raggiunto.
Questo nuovo sistema di illuminazione si vide nelle berline di lusso degli ultimi anni ‘60, quando i nuovi schemi stilistici e le nuove tecnologie di costruzione permisero la realizzazione di fari quadrangolari, come era per la prima Fiat 125. Se il passo successivo è stato cavalcato dall’adozione dei fari a scarica elettrica, quelli contenenti gas xeno (che, spostando lo spettro luminoso più vicino all’ultravioletto attraverso una reazione fisica, rendono un colore ancora più bianco rispetto a quelli allo iodio che invece sono ancora ad incandescenza), la novità degli ultimi tempi ha riguardato i materiali con i quali tutt’oggi si realizzano i proiettori: la plastica (policarbonato o polimetilmetacrilato). Il nuovo materiale permette di realizzare proiettori in grado di veicolare il fascio di luce attraverso la parabola (che non ha più solo la funzione di riflettere la luce verso avanti, ma anche quello di costruirne la corretta geometria) e di aumentarne l’intensità, dato che la plastica assorbe meno energia luminosa, evitando al contempo che la stessa si trasformi in calore.. Un fanale di plastica non si scada. I vecchi fanali di vetro, una volta accesi, scottavano. Col nuovo polimero le forme dei fari delle auto possono assumere conformazioni talvolta stravaganti contribuendo in maniera decisiva a delinearne lo stile.
Siamo tornati a produrre la luce bianca dei proiettori a carburo che a distanza di un secolo torna a noi più profonda che mai, col suo bagaglio di storia e di figure importanti, di personaggi che potevano permettersi il lusso di accendere i fari delle loro auto. Fieri ed orgogliosi. E se non conosciamo la storia che sovente si ripete, basterà un raggio di luce ad illuminarla; cosicché capiremo che tutto ritorna.
Tutto questo è storia ed è bellissimo leggerlo. Dovremmo insegnare ai giovani di oggi a leggere queste verità, loro non si immaginano nemmeno come erano i primi fanali delle auto e quale è stata la loro evoluzione