C’era una volta l’utilitaria.
L’utilitaria, quell’auto piccola, essenziale ed economica il cui concetto si è sviluppato già dagli anni ‘30 per poi prendere definitivamente piede nel secondo dopoguerra.
L’utilitaria è stata, e questo lo sappiamo tutti, la protagonista della motorizzazione di massa. Negli anni ’50, a chi scendeva dalla Vespa o addirittura dalla bicicletta, quelle auto piccole, senza nient’altro che fosse un motore, erano la definitiva conquista della libertà.
Ma l’utilitaria si è evoluta: negli anni ’70 era ormai già definitivamente affermata come seconda macchina di famiglia, magari in mano alla mamma, accanto alla berlina di papà. E si è adattata, è diventata più grande, più comoda e meglio rifinita. Intanto l’utilitaria diventava anche un oggetto di moda, e auto come l’A112, ad esempio, si sono sapute adattare anche a chi chiedeva eleganza e ricercatezza nella vetturetta di tutti i giorni. Negli anni ’80 ci ha anche stupito con innovazioni tecnologiche degne delle sorelle maggiori.
In tutto questo, però, a queste utilitarie si è andata affiancando, già dagli anni 80, l’anti-auto.
Cos’è l’anti-auto? L’anti-auto è l’auto per chi dell’auto non gl’importa nulla.
L’anti-auto deve costare il meno possibile. Va poco, i cavalli sono quelli giusti per farla entrare in autostrada senza intralciare i camion. Non deve avere nulla, sono sufficienti un motore, quattro ruote e lamiera a sufficienza per non bagnarsi quando piove. Non deve rompersi, e, nel caso, basta che si ripari entro mezza giornata con la minor spesa possibile. Pure se si ammacca o si graffia, poco importa. Sta ferma in strada, il garage non serve. Basta che non la rubino. Va consumata come un paio di scarpe, poi si butta via e se ne compra un’altra.
L’anti-auto è essenziale, ma di un’essenzialità diversa da quella da quella delle utilitarie costruite finora. Mentre negli anni ‘50 l’essenzialità era la necessità legata alla creazione di un prodotto economico per favorire la diffusione dell’automobile negli anni ’80 bisognava creare qualcosa per chi non voleva nulla di tutto ciò che su un’auto si potesse desiderare.
Un concetto di auto che mai, nell’immaginario di chi l’ha creata, sarebbe potuta diventare oggetto di passione.
La Fiat è stata pionieristica anche in questo: l’anti-auto per eccellenza l’ha creata prima di tutti, nel 1980, con la Panda.
La Panda ha incarnato per prima quel concetto di essenzialità dell’anti-auto. Non esiste nulla, sulla Panda, che vada oltre il minimo indispensabile per andarci in giro.
Quell’essenzialità era stata già pensata dai francesi con la 2CV e la R4, che, però, prima di essere definitivamente archiviate come obsolete hanno fatto in tempo a diventare protagoniste della motorizzazione di massa, poi icone degli anni della contestazione, e poi ancora simboli di libertà per i giovani. Negli anni ’80 tali concetti erano abbondantemente superati, tant’è che le due auto francesi erano ormai sulla via del tramonto (anche se pure da loro la clientela se n’è distaccata a fatica, visto che entrambe hanno visto arrivare l’ultimo decennio del millennio).
A colmare il vuoto che avrebbero lasciato ci ha pensato la Panda. Chiunque avesse da andare in giro per campagne, per caricare legna, per star tranquillo di non rimanere per strada, di Panda ne ha avuta e consumata almeno una (guarda il restauro di questa Panda 45 azzurra).
Tanto essenziale che le varie innovazioni che ha subito per tenerla almeno al passo dei tempi (si fa per dire) sono state poi seguite da veri e propri regressi, come il ritorno al vecchio motore ad aste e bilancieri dopo l’introduzione del FIRE, proprio per offrire un prodotto sempre il più economico possibile.
Tanto, col vecchio o il nuovo motore, sempre la stessa legna ci caricavi.
Alla Panda non interessava certo entrare nel mito. Nei suoi anni, i giovani che si accontentavano della 500 erano ormai già adulti, gli alternativi che cercavano l’esotica 2CV con il tetto rigorosamente aperto ormai erano già passati a una più comoda berlina, i contestatori delle R4 avevano tagliato i capelli. Forse solo gli ultimi nostalgici dovevano ancora scendere dai Maggioloni per salire sulle Golf. I giovani che intanto si avvicinavano all’automobile cercavano già qualcosa di più, dotata almeno di un’autoradio decente (ricordate che sulla Panda il mobiletto per l’autoradio nemmeno era di serie). La Panda a essere giovanile ci ha pure provato, ma alla fine, pure sulle Young, ci trovavi sempre il vecchietto col cappello. Ma la Panda doveva svegliarsi presto e andare a lavorare, quindi poco le importava se ai giovani piaceva di più la Uno Rap col tetto apribile.
La Panda ha sfondato le porte del nuovo millennio, e, mentre tanti costruttori già offrivano navigatori, sistemi multimediali di gestione dell’auto, propulsione ibrida, lei era lì, con il suo immortale FIRE. Quando c’era già chi offriva l’ESP di serie anche sull’entry level di gamma, la Panda c’era ancora, con di serie 4 cinture e, optional, il santino calamitato da attaccare al cruscotto con lamiera a vista. In quegli anni la Fiat offriva anche versioni accessoriate il minimo, con vetri elettrici e chiusura centralizzata, ma la bestseller era lei, la Young senza niente e basta, colore rigorosamente pastello che così non si paga il metallizzato, meglio bianca che se sbiadisce si nota di meno.
La Panda è morta tra le lacrime di tanti, tante persone che ancora ne apprezzavano la robustezza e l’affidabilità, e ancora adesso gode di una quarta, una quinta vita sul libretto. Perché, fin quando la ruggine non l’ha divorata o il motore non ha retto all’ennesimo cambio olio dimenticato, state tranquilli che, se voleste venderla, qualcuno che la prenderà lo troverete.
In Fiat probabilmente pensavano che, come le paia di scarpe vecchie, una volta consumati gli ultimi, stanchi esemplari sarebbe sparita nell’oblio generale. Nessuno ci avrebbe mai scommesso che quell’oggetto privo di qualsiasi fronzolo un giorno sarebbe andata in giro a far raduni.
E invece no.
Le discussioni online si sprecano, i primi raduni sono stati un successo (memorabile quello dello scorso giugno a Pandino con quasi 200 partecipanti), esiste persino un raid riservato alle sole Panda e Marbella (la sorella Seat) e c’è chi si è cimentato ad arrivarci dall’altra parte del mondo.
La Panda non è fatta per passare alla storia, ma la Panda non lo sa, e ci è passata lo stesso.
Filippo Di Ninno
Panda 30 college 1985, mi ha accompagnato in giro per tutta l'italia per 19 anni.
Mio figlio non voleva che la demolissi.