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Ford Granada MKII – parte 3

Ford Granada MKII.

Il retro.

Le linee di base della Granada erano frutto della simbiosi fra i designer del centro stile interno e di quelli della Ghia, cosa ovvia, dato che l’atelier torinese era di proprietà Ford e dunque fucina di idee per l’Ovale Blu: all’epoca, direttore della Ghia era Filippo Sapino, che era stato collocato in tale posizione in seguito  all’acquisto dell’atelier torinese da parte della Ford dopo aver prestato la propria opera, fra l’altro, con la Pininfarina e la stessa Ford; pertanto non c’è da stupirsi se all’epoca il design della Granada MK II venne giudicato di classico gusto italiano, pur tenendo conto dell’intervento dei designer diretti da Uwe Bahnsen, capo del Centro Stile della casa di Colonia e creatore di molte delle icone della Ford europea.

Queste idee, evidentemente ritenute assai valide, furono utilizzate quasi immutate anche su un’altra Ford di grande successo, l’australiana Falcon XD, che debuttò nel marzo del 1979: le superfici piane solcate da nervature e profili quanto mai essenziali, l’ampia vetratura, i montanti sottili, la linea di cintura bassa e elementi decorativi dal profilo rettangolare (oltre all’ampio ricorso alle materie plastiche, in luogo delle cromature) si ritrovarono più o meno immutati anche nella vettura prodotta agli antipodi: in un confronto diretto, le similitudini fra le due sono davvero tante. La maggior differenza stilistica fra la Ford australiana e la cugina europea risiedeva nelle dimensioni (lievemente maggiori nella Falcon XD) e nella linea di cintura, ulteriormente ribassata nella vettura australiana. La Falcon, sia in questa variante XD, sia nelle successive XE ed XF, riscosse un successo ancora più eclatante di quello che, in proporzione, arrise alla Granada, divenendo la più venduta auto del mercato australiano.


Tuttavia, come detto, la filiazione europea della Ford non ebbe di che lagnarsi relativamente alle performance commerciali della sua vettura di maggior prestigio (in tutto, non meno di 919.969 esemplari lasciarono le catene di montaggio): disponibile come berlina a due o quattro porte e come station wagon (la bella coupé disponibile nella prima serie non ebbe erede, un segno dei tempi), era offerta inizialmente in quattro allestimenti (L, GL, S e Ghia, con quest’ultima denominazione usata per indicare il top di gamma, una consuetudine che sarebbe divenuta una costante nella gamma Ford; in Italia, comunque, c’era in aggiunta un livello base, mentre non c’era la S ); ampia la scelta per ciò che riguardava i motori, anzi: al momento del lancio, un’analisi attenta delle motorizzazioni in cui la Granada era disponibile rivelano una certa sovrabbondanza, diciamo pure un minimo di confusione. C’erano infatti un V4 di 1,7 litri da 70 o 75 cavalli, due tipi di due litri (un 4 in linea appartenente alla famiglia Pinto, da 99 cavalli, e un V6 da 90 cv), e i sei cilindri a V della famiglia denominata Cologne, nel formato da 2300 (108 cavalli) e 2800 cc (135 oppure 160 cavalli, quest’ultimo ad iniezione), che si imposero sui similari propulsori Essex, da 2,5 e tre litri (che erano stati invece offerti sulle precedenti Granada britanniche). Come intuibile, la differenza nella denominazione denotava un’origine diversa dei due tipi di propulsori: tedesca per i primi, britannica per i secondi; usarne un solo tipo fu un’ulteriore passo verso l’integrazione totale fra le due filiazioni della marca americana, non solo a livello produttivo ma anche a livello progettuale, una cosa vicina al completamento proprio in quel periodo. Relativamente ai motori, anche i V4 di 1,7 litri e il V6 da due litri erano di origine tedesca. Per l’Italia, comunque, le cose furono in qualche modo semplificate.

Gli utenti, stando ai listini dell’epoca, avevano a disposizione il 4 in linea da 2000 cc, oppure i due tipi di V6 da 2800 cc. Capitolo a parte meritano i propulsori diesel, che fecero il loro debutto su una Ford proprio con la Granada: annunciati in varianti a 4 cilindri da 1946 cc e 2112 cc, avevano rispettivamente 54 e 63 cavalli, decisamente pochi per il tipo d’auto (il cui peso era in proporzione rilevante), e le prestazioni erano, specie per la versione più “piccola”, quasi imbarazzanti. In effetti, il 2112 debuttò solo nella primavera del ’79, e il suo arrivo, anche se migliorò solo di poco le cose, sembrò quanto mai opportuno. Nel 1982 giunse poi un più prestante (si fa per dire …) 2,5 da 69 cavalli. In ogni caso, il debutto della Ford nel settore, dovuto all’interesse che il mercato europeo nutriva per questo tipo di auto, avvenne seguendo uno schema originale, anche se suscettibile di correzioni: i motori erano di origine Peugeot (o meglio, erano gli Indenor, cioè quelli che a Sochaux si usavano anche sui veicoli commerciali …) e si preferì usare motori “esterni” perché, nonostante fosse disponibile un buon propulsore a gasolio sul Transit, questo era ancor più pesante ed ingombrante di quelli forniti dai francesi! D’altro canto, il cliente tipo delle Granada puntava sull’affidabilità dei propulsori a benzina, le cui buone (anche se non eclatanti) performance erano in linea con ciò che ci si aspettava in quel periodo di relative vacche magre: i 160 cavalli del 2,8 a iniezione permettevano punte di tutto rispetto, mentre i 165 Km/h del due litri non deludevano, come i consumi. Semmai, nella Granada MK II evidente era il lavoro di rifinitura che emergeva da ogni aspetto della macchina, incluso il comportamento stradale, finalmente scevro da pecche che, per quanto riguarda la generazione precedente, emergevano in talune situazioni: anche grazie all’adozione per tutta la gamma delle gomme radiali (e le versioni più potenti trassero ulteriore beneficio dagli speciali Michelin TRX che spesso vennero usati sulle berline ad alte prestazioni di inizio anni Ottanta), il comportamento sul bagnato e in curva divenne ben più affidabile, pur conservando una certa tendenza al sovrasterzo, garantendo in pieno i già apprezzati livelli di comfort.

Questa sensazione era del resto intuibile già sulla carta, dato che la meccanica della Granada MK II era praticamente derivata in toto dalla prima edizione: rispetto a questa, vennero adottati affinamenti ma non stravolgimenti; rimanevano quindi la riuscita scocca portante con la disposizione classica della meccanica e l’altrettanto riuscito schema delle sospensioni a 4 ruote indipendenti, lo sterzo a cremagliera (dove l’effetto del servosterzo rendeva l’insieme molto fruibile), e l’impianto frenante misto (consueto per l’epoca vedere i dischi solo davanti, anche su auto del genere). In più, mentre all’estero rimase gradita la disponibilità del cambio automatico in aggiunta al tradizionale quattro marce, da noi fu senz’altro la possibilità di disporre su alcune versioni del cambio a cinque marce che attirò gli interessi del pubblico. L’interno, dal canto suo, era caratterizzato dall’ottima finitura: i rivestimenti erano pregevoli, le plastiche erano finemente trattate (bello soprattutto il disegno del cruscotto), la posizione di guida ineccepibile e l’abitabilità ottima (in tre dietro si sta benone). Risultavano altrettanto curati la visibilità, l’insonorizzazione, la climatizzazione (era disponibile pure l’aria condizionata) e la comodità dei sedili. Furono proprio queste tre ultime voci, che già avevano convinto i critici, a ricevere ulteriori attenzioni quando arrivò anche per la Granada il momento del restyling di metà vita, nel 1982: infatti, esteriormente furono pochi i cambiamenti, mentre dentro vennero ridisegnati il cruscotto, i pannelli porta e i rivestimenti, e si curarono ulteriormente gli aspetti della qualità della vita a bordo. Meccanicamente, il 2 litri guadagnò qualche cavallo, e arrivò, come detto, il diesel 2500. A differenza di molte altre auto, anche di simili caratteristiche, l’ammiraglia di Colonia aveva ancora un certo seguito negli anni Ottanta, nonostante la sua linea non fosse più pienamente in sintonia con le più recenti tendenze.

Comunque, forse perché la Ford l’aveva disegnata ispirandosi non poco a ciò che aveva proposto negli anni Settanta la Mercedes, la macchina di Colonia ispirava fiducia grazie al suo sembrare poco sensibile a certe mode e a certe tendenze. Probabilmente, avrebbe potuto rimanere ancora sul mercato, e in effetti, la sua dipartita fu accolta con alcuni rimpianti, dato che molti rimasero sconcertati di fronte alla rivoluzione estetica portata dalla sua erede, la Scorpio. Tale rivoluzione estetica era stata inaugurata in casa Ford dalla Sierra, diretta interprete delle innovazioni introdotte con i prototipi della serie Probe: tuttavia, anche se la Sierra e la Scorpio avevano notevoli meriti, molte delle speranze di rivivere i fasti commerciali delle antesignane andarono inizialmente disattesi, perché la loro impostazione di base fu giudicata troppo di rottura col passato, e i clienti più tradizionalisti non la presero bene.
In effetti, reale successo arrivò per queste macchine quando alle innovative versioni a due volumi e mezzo e cinque porte si affiancarono tradizionali edizioni a tre volumi e quattro porte, considerate più in linea con aspettative ed esigenze della rispettiva clientela. Oltre a queste, ulteriore contributo arrivò dalle station wagon. Paradossalmente, dopo aver reso la Scorpio assai accettabile da un punto di vista stilistico, la Ford la rovinò con il restyling del 1995. Stranamente, e questo restyling sembra confermarlo, pare che con Sierra e Scorpio la Ford abbia commesso vari errori di valutazione che invece aveva evitato con le antenate dirette.
In ogni caso, la Granada MK II resta a tutt’oggi una delle Ford di grandi dimensioni di maggior successo, ancora oggi dotata di un certo appeal, anche se non a livelli tali da averla fatta diventare oggetto di culto.

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Matteo Giacon:

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