Con l’Alfetta in Jugoslavia, a velocità folle
di Fulvio Comin
L’Alfetta era, negli anni Ottanta del secolo scorso, un sogno per molte famiglie. In primo luogo perché era una Alfa Romeo, vero status symbol di allora e poi perché a detta di popolo tutti i motori Alfa erano capaci di prestazioni eccezionali (guarda il video che abbiamo girato con l’Alfetta).
Non c’erano limiti di velocità lungo le strade se non nei centri abitati e avere un motore che ti passava da zero a cento chilometri l’ora in un tempo brevissimo significava avere sicurezza nei sorpassi, e poi andare veloci come il vento.
Consumava un po’, era vero ma allora la benzina non costava poi molto anche se c’era chi diceva che con un’auto di quel tipo dovevi avere sempre pronte 10 mila lire per fare il pieno il che sembrava, alla maggioranza, cifra esorbitante.
Roba da veri spreconi. Insomma una piccola minoranza l’Alfetta la comperava lo stesso mentre la maggioranza si limitava a spiarne il cruscotto guardando attraverso i finestrini quando ne incontrava una di parcheggiata e poi … sognava.
Bene. Io facevo già il giornalista e gli stipendi non erano quelli di adesso nel raffronto con le altre categorie. Noi si guadagnava molto di più. Però ero sposato da non molti anni e già con un figlio piccolo e l’obiettivo principale era una casa.
Per questo mi potei permettere di compiere una “follia di seconda mano” e mi comperai l’Alfetta (leggi la storia di questa Alfa Romeo).
Fatta questa lunga e, magari per qualcuno anche inutile premessa, devo dire qualcosa dell’auto.
Nell’estate credo del 1979 o del 1980 (non posso essere più preciso) avrei dovuto andare con l’Alfetta in Jugoslavia in ferie il 30 di agosto ed una coppia di amici anche loro con un figlio della stessa età del nostro ci avrebbero preceduti di un paio di giorni per ritrovarci poi a Rogoznica sulla costa dalmata, sotto Sebenico, per poi proseguire assieme per l’isola di Curzola.
Ma il 30 mattina mi telefonarono per dirmi che dovevo rimandare di alcuni giorni le ferie perché chi avrebbe dovuto sostituirmi in redazione non sarebbe potuto arrivare.
Dopo una feroce litigata e una promessa che per le 15 avrebbero mandato qualcuno, dissi a mia moglie del ritardo (avremmo dovuto partire verso le 10 del mattino) e aspettai.
Allora non c’erano cellulari e non sapevo come e dove contattare la coppia di amici per avvertirli.
Verso le 16 riuscimmo a partire e fu allora che la mitica Alfetta dette prova del suo valore, della sua velocità, della tenuta di strada. Per quell’ora avremmo già dovuto essere arrivati a Rogoznica e, invece, si partiva appena da Pordenone.
Autostrada fino a Trieste e poi coda alla frontiera con la Jugoslavia, traversata dell’Istria per strada normale e finalmente Fiume ed il mare. Lì imboccammo la Jadranska Magistrala (in italiano la strada maestra adriatica) che si snodava lungo la costa senza neppure un piccolo viadotto. Seguiva tutta la costa così che per arrivare in un punto che stava dall’altra parte di una baia e che era a qualche centinaio di metri in linea d’aria, percorrendo tutta la baia stessa si dovevano fare anche dieci o più chilometri (famosa la baia di Cattaro che di chilometri ne percorrevi 40 quando bastava un viadotto di un paio di chilometri per arrivare dall’altra parte).
Insomma fu un viaggio da incubo e, per giunta, percorso a velocità folle. Ma l’auto era un’Alfa e non c’era niente di meglio al suo confronto se non una Maserati o una Ferrari.
Arrivammo a Rogoznica attorno alle 21.30 e trovammo i nostri amici seduti su di un muricciolo all’inizio del paese.
Allora Rogoznica non è quella di oggi con tanto di marina, porto turistico, hotel di lusso ma, semplicemente, un paesotto che per molto tempo era stato proprietà di Venezia e poi era diventato famoso come rifugio degli Uscocchi che di mestiere facevano i pirati anche al soldo degli Asburgo per depredare le navi veneziane.
In quegli anni Tito era ancora saldo al potere e in Jugo si mangiava pagando poco e anche a tutte le ore (anche oggi a tutte le ore, è cambiato però il prezzo).
Così la coppia di amici ci aveva prenotato la cena in una Gostilna dove erano specializzati nel cuocere le aragoste. E appunto aragoste mangiammo dopo aver dato le spiegazioni del caso sul ritardo.
Beh! Fu una cena sontuosa e meritata dopo tutta la corsa che avevamo fatto. Quando uscimmo guardai all’Alfetta quasi con amore e le feci una carezza. Quell’auto mi accompagnò poi ancora per alcuni anni finchè la cambiai. Aveva un solo difetto: era color senape e quando l’avevo portata a casa mia moglie era andata su tutte le furie. Per via del colore. Ma poi anche lei seppe apprezzarne le qualità e credo che un poco le volle bene anche lei. Strano, non glielo ho mai chiesto.
bella storia si vede che le auto le avete nel cuore
Ho percorso circa 200.000 chilometri con un’ Alfetta che ancora conservo ed ho quasi finito di restaurare. Ti capisco benissimo quando scrivi “..ma l’auto era un’ Alfa….”. Quanti ricordi, quanti sorpassi a 5000 giri, quante tirate in autostrada…
Mia moglie, a differenza della tua, fu subito “rapita” dal bellissimo bleu pervinca abbinato al beige degli interni. Poi …, fu rapita anche dal bialbero.
Ancora oggi, lasciata in garage la Golf 7, con quel bialbero (che, rigorosamente, alimento a 100 ottani) mi tolgo tante soddisfazioni. Poi, tornato In garage, la parcheggio accanto alla 2000 GTV di mio figlio e…. già desidero tornare al volante.
Ricordi ? ….. “Alfetta, la berlina più veloce del mondo”.