Dopo la Seconda guera mondiale, l’Italia è piuttosto malconcia. Ma il terreno è fertile, e inizia un periodo in cui le idee confluiscono in un nuovo modo di rappresentare e rappresentarsi. Questo è vero in tutti i settori, dalla moda alla mobilia, allo stile di vita, alle auto anni 50.
C’è un denominatore comune a tutto questo: l’America.
La posizione dell’Italia del 1943, che lascia l’Asse per avvicinarsi all’Alleanza, vede l’inizio di una stretta relazione con gli americani arrivati per liberarla dal nuovo nemico: la Germania. Inizia proprio qui una dipendenza nei confronti dell’America suffragata col piano di aiuti (Piano Marshall) che ne condizionerà lo stile di vita e, inesorabilmente, lo stile estetico.
Compaiono le prime “cucine all’americana”, nelle case degli italiani, così come le prime auto col cambio al volante, come quelle americane. Che però aveva una funzione ben precisa: poter sistemare la “panchetta” invece che due distinti sedili nella parte anteriore dell’abitacolo, ossia tre passeggeri anziché due. Questo fece storcere subito il naso in casa Alfa Romeo, quando fu presentata la prima Giulia TI (1962), che infatti era omologata per sei persone. Un forte contrasto con l’immagine sportiva della casa. La strumentazione delle auto italiane del dopoguerra iniziò ad avere uno sviluppo (orizzontale), con tachimetro “a nastro”, invece che a settore circolare e indicatore a lancetta.
Il materiale plastico a colorazione chiara si vedeva già nell’Alfa 1900 del 1954, così come l’autoradio inserita nella plancia di fronte al passeggero. Se l’abitacolo divenne un luogo più accogliente e comodo, la linea delle vetture diventò l’inchino verso gli americani, salvatori della nazione e benefattori della ripresa economica nazionale. Lo sviluppo orizzontale delle linee si percepì subito lungo tutta la lunghezza delle auto che iniziarono ad essere decorate con le “pinne” posteriori come nel caso della Alfa Romeo Giulietta del 1956, della Lancia Appia del 1956, della fiat 1100 del 1954. E successivamente ancora più pronunciate e appuntite sulla Lancia Flaminia, sulla Fiat 2300, sulla Alfa 2600. In pochi anni difatti (dalla metà anni ’50 agli inizi dei ’60) le auto abbandonarono le forme tondeggianti, tipiche delle auto americane anni ’50 per convertirsi a profili netti e ben delineati, con soluzioni quasi spigolose, quindi ancor più filanti.
Lo sviluppo orizzontale dei profili introduceva il nuovo stile d’oltre-oceano ed era riscontrabile anche sui frontali delle auto italiane. Un caso emblematico riguardò proprio la Lancia Appia riconoscibile fino al 1960 (fino a tutta la seconda serie quindi) per la sua imponente calandra verticale, tramutata, con la terza ed ultima serie, in orizzontale. Si assistette quindi ad una vera e propria denaturalizzazione del disegno tradizionale, in questo caso Lancia, non prontamente accettato all’epoca, e disincentivante oggi a livello di prestigio: la differenza di quotazione tra la prima e seconda serie dell’Appia, rispetto alla terza ed ultima serie, risulta essere un segnale non confutabile. Dalle lunghe e prestigiose Chevrolet Chevy, alle Cadillac Eldorado, alle meno amate Ford Edsel, provenivano altri elementi decorativi esterni come il settore bianco sugli pneumatici. Tanto che in Fiat, a partire dalla fine degli anni ’50, la “gomma bianca” divenne un accessorio richiesto spesso proprio nelle auto di piccola cilindrata, come la 600 (guarda questo speciale modello Jolly), tanto per dargli quel tocco di prestigio col quale non erano nate.
Torniamo dentro gli abitacoli delle auto italiane del dopo guerra: se ci sediamo al sedile guida di una Fiat 1500 non possiamo non notare la corona cromata nel volante. Già nella prima serie della Giulietta si azionava il clacson facendo pressione ai margini della corona cromata ancorata alle due razze in bachelite.
Aria condizionata e vetri elettrici rimandavano ad una condizione di prestigio più che di reale comfort: due accessori che equipaggiavano le auto americane del dopo guerra e che comparvero per la prima volta in un’auto di serie italiana con l’Alfa 2000 sprint.
L’elemento cromato che richiamava il metallo, molto presente nelle auto a partire dagli anni ’60, sembrava volesse proprio riflettere la luce del nuovo mondo, del miracolo economico consumato dopo la guerra, del benessere diffuso. Una luce che attirava la massa verso la motorizzazione e la speranza di una vita lontana dal sacrificio, vicina alla libertà. Quella libertà che iniziava quando girando la chiave, risuonava alto il rombo del motore. Il rombo della felicità.