Alfa Romeo Non Accettata. Questo potrebbe essere uno dei tanti acronimi associabili al nome di un modello tanto criticato quanto discusso. Che si tratti di una vettura non riuscita lo conferma il primo posto ottenuto dalla Alfa Romeo Arna nella classifica “Auto più brutta” stilata dal “Sole 24 ore” nel 2008. Un traguardo poco invidiabile associato ad un’Alfa.
Ma l’Arna è un’Alfa? Un po’ si, lo è. Il motore boxer è quello dell’Alfasud, montato in una scocca giapponese, quella dell’obsoleto modello Nissan Cherry commercializzato nei paesi orientali.
Che tra l’altro era meno brutta della sorella italiana, forse perché nella Cherry mancava lo scudetto nella calandra anteriore, quel contrasto tra marchio e vettura che contraddistingueva la nostra Arna.
Nata da un accordo del 1980 tra l’Alfa e la Nissan (firmato dal giapponese Takashi Ishihara e dal nostro “illuminato” di allora presidente Alfa Romeo Ettore Massacesi) Arna doveva rimpiazzare l’entry-level di casa occupato dall’ Alfasud.
A distanza di otto anni dalla sua nascita, nel 1972, la mentalità in casa Alfa era completamente cambiata: bassi investimenti per i nuovi modelli. Se il progetto Alfasud durò quattro anni, quello dell’Arna pochi mesi: il tempo per stringere un accordo con Nissan e modificare la scocca per introdurre il propulsore boxer Alfa. Ma l’Arna doveva davvero sostituire l’Alfasud…?
Eppure Arna è un modello che ha fatto discutere all’esordio e fa discutere ancora adesso perché è l’esempio di come non ci si trovi davanti solamente ad un’auto di oggettiva bruttezza estetica (in rapporto ai canoni stilistici occidentali). I giudizi fendenti riservati a questa berlina sembrano conservare l’odore dell’occasione perduta. Siamo di fronte al primo modello Alfa Romeo privo di problemi di corrosione che tanto ha martoriato il marchio a partire dai primi anni ’70 con Alfasud e Alfetta: la carrozzeria nipponica utilizzava lamiere zincate molto resistenti contro l’ossidazione.
Non era solo l’esterno del corpo vettura a conservare caratteristiche d’avanguardia per l’epoca: la plancia, costruita con materiali plastici di qualità superiori agli standard Alfa, vantava il ricircolo dell’aria interna (vera chicca per modelli del medesimo segmento) oltre che una ventilazione silenziosa a quattro velocità. Gli stessi materiali dei quali era costituita la selleria interna risultavano essere resistenti all’usura, così come lo spazio interno di generose dimensioni.
Come il progetto Alfasud è stato lo specchio della società italiana, caratterizzata da contraddizioni ed eccessi, il progetto A.R.N.A ha messo in risalto i valori di un popolo per il quale estetica e razionalità non sono mai subordinabili. L’Italia, “Terra d’arte” dove il culto della bellezza regna sovrano anche nella vita quotidiana, è stato il peggior luogo dove presentare una vettura come l’Arna. Con il lancio del “Made in Italy” a partire dagli anni novanta la lontananza tra Italia e Arna è diventata ancora più evidente.
Come è ormai noto a tutti, le ultime operazioni commerciali in campo automobilistico per il rilancio di Fiat, Maserati ed ora anche Alfa Romeo (con l’ultima nata “Giulia”) hanno fatto leva su un tema: lo stile. Che poi altro non è che gusto, estetica, ricerca di emozioni, “piacere del piacere”.
Non solo quindi una mosca bianca in casa Alfa: Arna ha rappresentato per molti un oggetto da disdegnare, da disconoscere, di cui quasi vergognarsi.
C’è chi continua a sostenere che il progetto Arna sia stato il frutto di un complotto alimentato dalla Fiat per decretare la fine di un competitor interno: l’Alfa.
Mettendo insieme gli elementi dell’operazione della casa del Biscione, in effetti, si potrebbero trovare spunti in grado di avallare l’idea.
Se la famosa frase dello spot pubblicitario “Arna, e sei subito alfista”, pronunciata da un’avvenente ragazza in pelliccia, ha creato problemi agli appassionati del marchio, certamente non ha convinto chi appassionato non lo era.
Lo stesso “Arna, chilometrissima Alfa”, che accompagnava le note dell’orecchiabile motivo pubblicitario, sembrava quasi volesse ricordare che anche l’Arna era un’Alfa !
Eppure in Alfa il modello che avrebbe sostituito l’Alfasud c’era: si chiamava Alfa 33, nata anch’essa nel 1983 sul pianale Alfasud.
Allora perché presentare due modelli nati sullo stesso pianale nello stesso anno?
Le incertezze rimangono. I dubbi lo stesso.
Forse nei corridoi di casa Alfa qualche certezza è rimasta ancora intrappolata.
Forse nei corridoi di casa Alfa una voce riecheggerà a lungo: “Arna, tu sei un’Alfa?”
In Italia il culto della bellezza regna sovrano? Ma cosa vi siete fumati? Avete mai visto le periferie delle città italiane? Le palazzine abusive ad Agrigento? La provincia veneta e lombarda sommersa dai capannoni? La Multipla?